Senza mai arrivare in cima. Viaggio in Himalaya
“Senza mai arrivare in cima”: un libro in cui protagonista non è la meta, ma il viaggio stesso
Oggi, amici lettori, voglio parlarvi di un libro che mi ha toccato l’animo e che lo ha fatto con una sensibilità quasi impercepibile.
Ho ricevuto questo piccolo libricino in dono da una coppia di amici per il mio trentesimo compleanno.
Non ne avevo mai sentito parlare. Copertina rigida, poco più di un centinaio di pagine, formato piccino.
Devo dire che di solito non sono attratta dai libri mignon. Non chiedetemi il perché, ma tendo a schivarli. Sarà capitato anche a voi, ad esempio con le serie TV: ne trovate finalmente una che vi ispira, ma quando constatate che si tratta di una sola stagione tendete ad essere riluttanti e, magari, a scartarla. Non è così?
Con i libri mi accade perché di fatto essi rappresentano un po’ una seconda vita per me, un mondo parallelo in cui trovare rifugio dalla quotidianità. E come nella vita reale, ci vuole tempo affinché si entri in sintonia con le persone o si possa riporre in esse la nostra fiducia.
Così, quando mi tuffo nelle pagine di un libro, ho bisogno di tempo per stringere un legame profondo con il personaggio e il contesto. E quando si parla di libri, naturalmente, il tempo viene misurato in pagine.
Per cui se mi trovo fra le mani un volume piccino, è come se in un certo senso sapessi già che non sarà abbastanza, che non potranno quelle poche pagine “entrarmi dentro”.
Con Senza mai arrivare in cima è accaduto l’esatto opposto.
Senza mai arrivare in cima: il racconto di un viaggio in Himalaya e dentro se stessi
Ho iniziato questo racconto un po’ per caso e un po’ per scelta obbligata.
Succede sempre che quando devo partire per un viaggio, mi vedo costretta a portare con me più di un libro: quello che sto leggendo al momento della partenza e che non ho ancora ultimato, ed un secondo che inizierò al termine del primo.
Così in questa occasione, complice l’esigenza di gravare le mie spalle con meno peso possibile, scelgo proprio lui.
Il libro è un diario di viaggio a tutti gli effetti.
Siamo alla fine del 2017 e l’autore ha passato i 40 anni. Decide di partire con una spedizione diretta nel più remoto angolo del Nepal, unico luogo ancora rimasto ancorato ad un passato immenso e per lo più ormai perduto.
Una regione che in toto si estende sopra i 4000 metri, irraggiungibile tanto dai monsoni quanto da strade e trasporti.
L’obbiettivo: poter essere spettatore di quel Tibet che oggi non esiste più.
E così il libro non è che la cronaca personale di un viaggio che per circa sei settimane vede l’autore cimentarsi in questo cammino montano del tutto singolare.
Per una volta, infatti, scalare la montagna non ha nulla a che vedere con il raggiungimento della vetta. Per lui e per i suoi compagni, è il viaggio stesso ad acquisire un senso profondo.
Il viaggio si fa così pellegrinaggio: attraverso un luogo, e dentro se stessi.
Il pellegrinaggio rappresenta nelle varie culture un percorso di purificazione che sempre conduce ad una meta: Santiago, la Mecca, la città sacra sul Gange.
L’autore però si ricorda che il più importante pellegrinaggio tibetano consiste nel compiere un giro completo attorno al monte sacro – e per cui irraggiungibile – Kailash.
I cristiani piantano croci in cima alle montagne, i buddisti tracciano cerchi ai loro piedi. Trovavo della violenza nel primo gesto, della gentilezza nel secondo; un desiderio di conquista contro uno di comprensione.
Ed è in questo modo che il cammino dell’autore si sviluppa per oltre 300 chilometri “senza mai arrivare in cima”, attraversando 8 passi e superando i 5000 metri di altitudine, ma mai fino alla vetta.
Insoliti sono i protagonisti di questo racconto: le riflessioni del pellegrino, un libro sacro, gli schizzi sul taccuino da disegno, il mal di quota, e anche Kanjiroba, il cane che per quasi tutto il viaggio accompagnerà la carovana attraversando valli, scarpate, ghiacciai.
Un viaggio a piedi e con il minimo indispensabile
Il camminare, riflette l’autore, riduce gli uomini e la vita stessa all’essenziale: mangiare, dormire, pensare. A volte…l’incontro con qualcuno, qualche viandante che incrocia il tuo cammino.
Nessuna o quasi delle invenzioni del nostro secolo sono essenziali in tutto questo, se non un buon paio di scarpe e, nel caso dell’autore, un libro nello zaino.
Senza mai arrivare in cima: perché consiglio questo libro?
Consiglio a tutti i viaggiatori questo libro perché rappresenta in un certo senso quella parte un po’ recondita e più spirituale che vive dentro ognuno di noi, quella componente del sé che solo un viaggio…un viaggio vero…è in grado di far emergere.
Una metamorfosi, dunque, dell’uomo che in viaggio perde un po’ di ciò che era e acquista molto di ciò che invero è.
E perché in fin dei conti, tutti i giramondo lo sanno: la parte più importante di un viaggio non è la meta finale, ma il cammino stesso.
Potete acquistare questo libro su Amazon proprio QUI
Buona lettura!
Se anche tu sei un appassionato di letteratura di viaggio, puoi trovare altri consigli sulla pagina dedicata di CLIC my TRIP –> LETTERATURA DI VIAGGIO